martedì 26 giugno 2012

Cesare Pavese


<< Verso il 1930, quando il fascismo cominciava a essere la speranza del mondo,

accadde ad alcuni giovani italiani di scoprire nei suoi libri (di Pavese) l'America,

una America pensosa e barbarica, felice e rissosa,

dissoluta, feconda, greve di tutto il passato del mondo, e insieme giovane, innocente.

Si scherza?
 
Eravamo il paese della risorta romanità dove perfino i geometri studiavano

il latino, il paese dei guerrieri e dei santi, il paese del Genio per grazia di Dio,

e questi nuovi scalzacani, questi mercanti coloniali,

questi villani miliardari osavano darci una lezione di gusto facendosi leggere, discutere e
ammirare?

Il sapore di scandalo e di facile eresia che avvolgeva i nuovi libri e i loro argomenti,

il furore di rivolta e di sincerità che anche i più sventati sentivano

pulsare in quelle pagine tradotte, riuscirono irresistibili a un

pubblico non ancora del tutto intontito dal conformismo e dall'accademia.
Si puo’ dir francamente, che almeno nel campo della

moda e del gusto,  la nuova mania giovò non poco a perpetuare e

alimentare l'opposizione politica, sia pure generica e futile, del pubblico italiano.

Per molta gente l'incontro con Caldwell, Steinbeck, Saroyan,

e perfino col vecchio Lewis, aperse il primo spiraglio di liberta,

 il primo sospetto che non tutto

nella cultura del mondo finisse coi fasci. >>

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